DOMENICA DEL CARNEVALE O
DEL GIUDIZIO UNIVERSALE
IL GIUDIZIO UNIVERSALE
Questa
domenica, dedicata al giudizio finale, ci ricorda il peso di tutte le
nostre azioni: il tempo della Grande Quaresima che ci aspetta è
il momento più adatto per riflettere sui nostri atti e sulle
loro conseguenze, ed è quindi molto appropriato che la Chiesa
ci metta di fronte il momento stesso del giudizio.
Nella
tradizione ortodossa, il giudizio finale, o universale, porta più
spesso il nome di "Giudizio tremendo", e in verità è
proprio un pensiero che ci atterrisce: prima o poi, tutti saremo
chiamati a rendere conto delle nostre azioni, e nessuno di noi può
scappare da questo esame. Infatti la coscienza ortodossa non
dimentica che, per quanto misericordioso e compassionevole sia Cristo
verso i nostri peccati, alla fine dei tempi verrà come
GIUDICE.
Può
sembrare strano che, dopo tutto quanto abbiamo detto nelle settimane
passate sulla necessità di conoscere Dio e noi stessi, e di
imprimere una svolta decisiva alla nostra vita, questo passo del
Vangelo ci appaia quasi banale nella sua semplicità. Notate
come si parli di persone che affrontano un giudizio, ma non si dice
nulla della chiarezza delle loro idee e motivazioni (anzi, sia i
giusti che i peccatori sembrano in fondo inconsapevoli delle ragioni
più profonde dei loro atti). Né si parla neppure per un
istante della verità della fede. Il giudizio avviene sulla
base delle semplici azioni, e sembra non tenere conto dell'identità
religiosa di chi subisce il giudizio. Per i cristiani, questo è
uno dei passi scritturali che permettono di intravedere una certa
universalità della salvezza, basata sul fatto che anche chi
non sente parlare di Cristo e del Vangelo ha comunque le stesse
verità che parlano dal più profondo della propria
coscienza. Vi sono altri passi che parlano in tal senso: pensate, per
esempio, al discorso di Pietro a Cesarea, narrato nel decimo capitolo
degli Atti degli Apostoli. "In verità sto rendendomi
conto che Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica
la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto."
(At 10, 34-35)
Ma
allora è indifferente la fede che abbiamo seguito nella nostra
vita? Davvero è ininfluente essere stati a contatto della
"buona novella" del Regno di Dio oppure averla ignorata?
Dobbiamo accontentarci di dire che "in fin dei conti basta
comportarsi bene?" Davvero no! La voce della nostra coscienza
può essere ignorata o assopita (sono un narcotico più
che sufficiente le mille tentazioni della vita tutto sommato comoda
che la maggior parte di noi conduce). Inoltre, abbiamo anche una
responsabilità nei confronti di quanti sbagliano, e le stesse
Scritture sono altrettanto esplicite nell'avvisare che chi non
ammonisce un peccatore si fa carico del peccato stesso di
quest'ultimo. Il sottile, profondo compito di educazione della
coscienza richiede una vita intera di sforzo, e il risultato può
ben essere il nostro destino eterno, per cui il gioco vale certamente
tutto lo sforzo che vi dedichiamo.
E
ora, dato che il problema ci assilla tutti (anche se facciamo a volte
di tutto per non pensarci), e ci terrorizza, come forse è
naturale che sia, vorrei soffermarmi un poco su quel "fuoco che
non si estingue" che attende gli ingiusti dopo il giudizio.
Queste immagini portano a volte a dubitare della bontà stessa
di Dio, visto che pure a noi, che tanto buoni non siamo, sembra
inconcepibile che un essere possa trovare diletto, o anche una
semplice soddisfazione legale, nel lasciare altri esseri nel
tormento.
Alcuni
teologi ortodossi contemporanei (tra i quali vorrei segnalare un
medico greco di Tessalonica, il Dr. Alexandros Kalomiros, morto nel
1990) ci aiutano a vedere questo fuoco come, né più né
meno, l'amore stesso di Dio, che si manifesta come fuoco che riscalda
e conforta tutti quelli che lo vogliono accogliere, e come fuoco che
tormenta tutti quanti lo rifiutano. Il fuoco è il medesimo,
così come l'amore di Dio è il medesimo nei confronti
del giusto e dell'ingiusto: ma questo amore rispetta la libertà
dell'amato, che se proprio vuole vivere la vicinanza di Dio come una
sofferenza, allora non viene forzato con la violenza a "sentirsi
bene".
Ma
sarà davvero possibile vivere la vicinanza di Dio come un
tormento? Qui la nostra stessa esperienza ci dice di sì.
Provate a immaginare, ciascuno di voi, le persone con cui avete
"rotto i ponti" (perché non andavate d'accordo,
perché vi hanno delusi, perché magari voi stessi non
siete stati capaci di costruire con loro un buon legame). Al solo
pensiero di dover stare in continuazione in compagnia di queste
persone, non vi sentite forse a disagio? E se da queste persone
venissero nei vostri confronti, dopo che qualcosa si è "rotto"
tra voi, continue manifestazioni di affetto e di calore, non sarebbe
forse un calore che brucia? Ebbene, se anche l'esperienza di semplici
rapporti umani può far sì che l'affetto scaldi oppure
ferisca i nostri cuori, a maggior ragione non dovremmo dubitare che
l'amore di Dio possa produrre gli stessi effetti.
Sta a
noi, ora, sforzarci in modo che l'amore di Dio ci infiammi senza
tormentarci, prima di tutto rimanendo sempre leali alle leggi che
Egli ha messo nel nostro cuore (nutrire chi ha fame, vestire chi ha
freddo, alloggiare chi è senza dimora, visitare chi è
isolato), e crescendo in questo amore con l'applicazione pratica di
queste stesse leggi.
Occupiamo
questo periodo che ci resta prima della Pasqua in uno sforzo speciale
per coltivare e sviluppare la nostra coscienza: il tempo della
prossima settimana, in cui smettiamo di mangiare carne ma ci è
permesso nutrirci di tutti gli altri cibi, anche il mercoledì
e il venerdì, non dovrebbe essere visto solo dal punto di
vista delle regole alimentari, ma anche come un momento libero e
tranquillo per sbrigare quelle attività mondane che potrebbero
essere di maggiore distrazione durante la Grande Quaresima. E poi, se
riusciremo davvero a orientare una parte più significativa -
per quanto piccola - del nostro tempo verso le necessità
spirituali, allora faremo crescere la nostra coscienza. In tal modo
agire giustamente diventerà sempre di più una parte
della nostra stessa natura, e ci prepareremo nel modo migliore a far
sì che il fuoco del giudizio di Dio non sia un fuoco di
tormento e di angoscia, ma un fuoco di calore, di luce e di vita.
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