GIOVANNI CLIMACO
San Giovanni Climaco, Abate e
Dottore della Chiesa, 569/579/599, nato in località ignota (Siria?) - morto Monte Sinai, 30 marzo circa 603/649/659/679 (30 marzo calendario greco e si commemora nella Quarta
Domenica di Quaresima) Martirologio Romano: Sul Monte Sinai, San
Giovanni, Abate, che scrisse per l’istruzione dei monaci il celebre
libro intitolato «La Scala del paradiso», nel quale
presentò un cammino di perfezionamento spirituale nella forma
di una salita di trenta gradini verso Dio, meritando per questo il
soprannome di Clímaco.
Molto poco si sa di san Giovanni
detto Climaco (da klimax, scala) o Scolastico (equivalente a
“filosofo”), festeggiato dai cattolici il 30 marzo e dagli
ortodossi sia il 30 marzo che la quarta domenica di Quaresima.
Forse
nacque in Siria, tra il 569 e il 599, da una famiglia agiata ed ebbe
una formazione intellettuale completa, in lingua greca. Gli antichi
documenti che parlano di Giovanni – la Vita scritta da Daniele
monaco di Raithu (sul Mar Rosso), una raccolta di racconti di
Anastasio, monaco sinaita di origine cipriota che fu tonsurato dallo
stesso Giovanni, il Menaion del 30 marzo, giorno della sua presunta
morte, e altri testi successivi, basati quindi su quelli citati –
raccontano la sua vita da quando, sedicenne, abbracciò la vita
monastica. Visse in una grotta vicino al monastero di Santa Caterina
sul Monte Sinai con l’abate Martirio (Martyrius), suo maestro e
guida spirituale, praticando l’obbedienza assoluta per diciannove
anni, cioè fino alla morte di Martirio. Giovanni si ritirò
quindi in un luogo solitario chiamato Thola (Wadi Talah), a cinque
miglia dal monastero di Santa Caterina. Dopo quarant’anni di vita
contemplativa cedette alle insistenze di un giovane monaco, Mosè,
e ne diventò il padre spirituale. Pur famoso per la sua solida
formazione intellettuale e, soprattutto, spirituale, unita ad alcuni
eventi inspiegabili (come la liberazione di un monaco dal demone
della fornicazione, il salvataggio “a distanza” del discepolo
Mosè dalla caduta di un macigno, alcuni episodi di
chiaroveggenza), Giovanni fu accusato di essere un ciarlatano ed egli
rispose chiudendosi nel silenzio assoluto per un anno intero. Forse
colpiti anche da questa prova di fermezza, i monaci di Santa Caterina
lo vollero come loro nuovo igumeno, giacché il loro superiore,
Gregorio, era stato eletto patriarca di Antiochia. Giovanni, a
settantacinque anni, accettò ed è probabilmente a
questo periodo che risale la sua opera più famosa: La scala
della divina ascensione (Klimax theias anodou), più nota col
titolo La scala del paradiso (Klimax tou paradeisou), da cui derivò
il suo soprannome “Climaco”. Dopo pochi anni, Giovanni chiese al
proprio fratello Giorgio, monaco anch’egli, di sostituirlo e
ritornò alla solitudine fino alla morte, avvenuta tra gli anni
659 e 679. Le date precise non sono note: anche se nel Menaion si
sostiene che Giovanni morì il 30 marzo 603, il giorno e l’anno
non trovano riferimenti certi e in ogni caso l’anno non combacia
con più attendibili informazioni storiche.
La Penisola
Sinaitica – dove sorge il monastero di Santa Caterina – è
stata considerata fin dai primi tempi del cristianesimo come parte
integrante della Terra Santa, in quanto luogo dove Mosè ebbe
da Dio le tavole della Legge e dove avvenne il fenomeno del “roveto
ardente”, tema di molte icone mariane, prefigurazione
dell’Incarnazione di Cristo per mezzo della Vergine. Certamente,
già nel III secolo vi abitavano molti eremiti sfuggiti alle
persecuzioni che imperversavano in Egitto, ma fu nel VI secolo che
l’imperatore Giustiniano autorizzò la costruzione di un
monastero sul Sinai, che fu rispettato anche dai Saraceni invasori
dei territori circostanti (da notare che Maometto era contemporaneo a
san Giovanni Climaco) e che diventò uno dei più
importanti centri monastici orientali e, in particolare, di
diffusione e irradiazione dell’esicasmo (o esichia), cioè la
dottrina e la pratica ascetica diffusa tra i monaci dell'Oriente
cristiano fin dai tempi dei Padri del deserto (IV secolo).
Il 30 marzo, le Chiese cattoliche e ortodosse ricordano insieme San Giovanni Climaco (Ιωάννης της Κλίμακος).
Il suo soprannome è venuto dall'opera che l'ha reso celebre, uno dei capolavori dell'ascetica monastica: "La scala del Paradiso" (Κλίμαξ). San Giovanni Climaco, contemporaneo di Maometto, propone i trenta gradini che portano dalla terra fino al cielo, arrampicandosi sulla scala posta e sorretta da Cristo stesso, che per primo l'ha percorsa. Le icone che "fotografano" la scala giovannea mostrano la lotta spirituale: i monaci ascendono pericolosamente, senza reti di protezione, esortati dai santi, aiutati dagli angeli, ma insidiati dai demoni, che cercano di farli cadere per attirarli nel profondo dell'inferno. La visione "agonistica" della vita spirituale è qualcosa da recuperare nel nostro tempo, dove ormai domina uno psicologismo che rischia di rinchiudere in se stessi e nei propri limiti, problemi, inconsistenze, fermando all'analisi e spesso deresponsabilizzando ("sono fatto così!...).
Sul valore del testo di San Giovanni "della scala" i cristiani d'Oriente e Occidente sono sempre stati d'accordo, diffondendo enormemente questo libro, attraverso traduzioni in tutte le lingue antiche della cristianità. Nella tradizione Bizantina, la quarta domenica di Quaresima è dedicata alla commemorazione del Climaco, visto come un incoraggiante maestro sulla via dei propositi quaresimali e dei sacrifici connessi con la purificazione prepasquale per tutti i fedeli.
In greco, “climaco” significa “quello della scala”. Così
è soprannominato Giovanni, monaco e abate, perché ha
scritto una famosissima guida spirituale in greco: Klimax tou
Paradeisou, ossia “Scala del Paradiso”. Ma di lui abbiamo scarse
notizie: incerte le date di nascita e di morte, sconosciuta la
famiglia (sappiamo però di un fratello, Giorgio, anche lui
monaco).Giovanni vive nel tempo in cui l’Italia è spartita
tra Longobardi e Impero d’Oriente; i rissosi discendenti di
Clodoveo sono padroni dell’antica Gallia, che ormai è terra
dei Franchi, Francia; i re visigoti governano la Spagna. E questo è
anche il tempo in cui dall’Arabia profonda emerge la figura di
Maometto (570/8-632).Giovanni, eccolo: lo troviamo nella penisola del
Sinai, monaco a vent’anni, tra molti altri, chi legato a un centro
di vita comune, chi invece isolato in preghiera solitaria. Lui
sperimenta entrambe le forme di vita, e poi si fissa nel monastero di
Raithu, nel sud-ovest della regione. Ma verso i 60 anni lo chiamano a
guidare come abate un altro grande e più famoso cenobio:
quello del Monte Sinai. E lì, stimolato dall’abate di
Raithu, porta a termine la “Scala”, che diventerà
popolarissima, tradotta in latino, siriaco, armeno, arabo,
slavo.Giovanni non si muove dal monastero, e la sua fama corre invece
per il mondo cristiano, grazie al libro con i suoi insegnamenti, che
non cercano davvero la popolarità facile, e non fanno sconti.
Se qualcuno crede che fare il monaco sia un devoto passatempo,
Giovanni lo raddrizza bruscamente: la vita del monaco, scrive,
dev’essere "una costrizione incessante sulla natura e una
costante influenza sui sensi". Ma suscita pure grandiose
speranze quando afferma che le lacrime del pentimento hanno il valore
quasi di un nuovo battesimo. Alla “Scala” egli aggiunge poi un
breve testo-guida per i superiori, forse ispirato a un’opera
simile: la Regula pastoralis di papa Gregorio Magno, tradotta in
greco ad Antiochia. Papa Gregorio fa in tempo a conoscere Giovanni da
lontano: gli scrive una lettera di elogio, e lo aiuta a ingrandire un
suo ospizio per pellegrini, mandandogli il denaro necessario per
quindici nuovi letti, e fornendo direttamente le coperte.Giovanni
Climaco insegna nel suo monastero a viva voce. Ma attraverso il libro
raggiunge sempre nuovi e sconosciuti discepoli, in Oriente e
Occidente. La “Scala” è cercata e studiata per l’efficace
chiarezza della sintesi dottrinale e per il valore delle esperienze
di Giovanni in prima persona. Secondo studi recenti, egli sarebbe
morto nel 649, anche se non tutto è certo. Certo e stimolante,
invece, è un fatto: su di lui i cristiani d’Oriente e
d’Occidente sono stati sempre concordi: ancora oggi celebrano la
sua festa nello stesso giorno.
Meglio integrate nella Quaresima sono le commemorazioni di San
Giovanni Climaco, la Quarta Domenica, e di Santa Maria Egiziaca, la
Quinta Domenica. In questi due santi la Chiesa vede gli araldi e i
testimoni massimi dell’ascetismo cristiano: san Giovanni è
colui che ha espresso i principi dell’ascetismo nei suoi scritti,
santa Maria nella sua vita. La loro commemorazione durante la seconda
metà della Quaresima mira evidentemente a incoraggiare e
ispirare i credenti impegnati nella lotta mediante lo sforzo
spirituale quaresimale.
Poiché, però, l’ascetismo è da
praticare e non soltanto da commemorare, la commemorazione di questi
due santi è in vista del nostro sforzo personale di Quaresima.
Consideriamolo come una indicazione generale di quanto la Chiesa
desidera che noi facciamo durante la Quaresima: sforzarci di
arricchire spiritualmente e intellettualmente il nostro mondo
interiore, leggere e meditare su quelle cose che maggiormente ci
possono aiutare a ritrovare il nostro mondo interiore e la sua gioia.
Di questa gioia, della vera vocazione dell’uomo, quella che si
realizza al di dentro e non al di fuori, il “mondo moderno” non
ci dà oggi neppure la più pallida idea; eppure, senza
questa gioia, senza la comprensione della Quaresima come un viaggio
nelle profondità della nostra umanità, la Quaresima
perde tutto il suo significato.
Noi non viviamo in una società
ortodossa e perciò non è possibile creare un “clima”
di Quaresima a livello sociale. Quaresima o non Quaresima, il mondo
che ci circonda e di cui siamo parte integrante non cambia.
Di
conseguenza, questa situazione esige da noi un nuovo sforzo di
ripensare il rapporto religioso che esiste necessariamente fra
l’esterno e l’interno.
Se dunque la Quaresima è per
l’uomo la riscoperta della propria fede, essa è per lui
anche la riscoperta della vita, del suo significato divino, della sua
profondità sacra. È astenendoci dal cibo che noi
riscopriamo la sua dolcezza e reimpariamo a riceverlo da Dio con
gioia e gratitudine. È astenendoci dalla musica e dal
divertimento, dalle conversazioni e dagli incontri superficiali che
noi riscopriamo il valore ultimo delle relazioni umane, del lavoro
dell’uomo, della sua arte. E noi riscopriamo tutto questo per il
semplice motivo che riscopriamo Dio stesso, che ritorniamo a Lui e,
in Lui, a tutto ciò che Egli ci ha dato nel suo infinito amore
e nella sua misericordia. E, perciò, la notte di Pasqua
cantiamo: “Oggi tutte le cose sono riempite di luce: il cielo la
terra e gli inferi. Tutta la creazione celebra la risurrezione di
Cristo; il lui è il suo fondamento”. Non deluderci in questa
nostra speranza, o Amico degli uomini !
Nessun commento:
Posta un commento