Domenica XI di Matteo
Il Mandilio;
Diomede martire (298);
Timoteo vescovo (1578)
Lettura della Domenica
16 agosto 2015
Apostolo
I Cor 9, 2-12
Fratelli, se per altri non sono apostolo, certo per voi lo sono; voi
siete il sigillo del mio apostolato nel Signore. Questa è la mia
difesa contro quelli che mi accusano. Non abbiamo forse noi il
diritto di mangiare e di bere? Non abbiamo il diritto di portare
con noi una sorella, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli
del Signore e Cefa? Ovvero solo io e Barnaba non abbiamo il
diritto di non lavorare? E chi mai presta servizio militare a proprie
spese? Chi pianta una vigna senza mangiarne il frutto? O chi fa
pascolare un gregge senza cibarsi del latte del gregge? Io non dico
questo da un punto di vista umano: la Legge non dice forse così?
Sta scritto infatti nella Legge di Mosè: “Non metterai la museruola
al bue che trebbia”. Forse Dio si dà pensiero dei buoi? O parla
proprio per noi? Certamente fu scritto per noi! Poiché colui che
ara deve arare nella speranza di avere la sua parte, come il
trebbiatore trebbiare nella stessa speranza. Se noi abbiamo
seminato in voi le cose spirituali, è forse gran cosa se mietiamo
beni materiali? Se altri hanno tale diritto su di voi, non l’avremmo
noi di più? Noi però non abbiamo voluto avvalerci di questo
diritto, ma tutto sopportiamo per non recare intralcio al
Vangelo di Cristo.
Vangelo
Mt 18, 23-35
Disse il Signore: ‘Il regno dei cieli è simile a un re che volle fare
i conti con i suoi servi. Incominciati i conti, gli fu presentato
uno che gli era debitore di diecimila talenti. Non avendo però
costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fossero
venduti lui, la moglie, i figli e quanto possedeva e saldasse così
il debito. Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava:
Signore, sii paziente con me e ti restituirò ogni cosa. Impietositosi
del servo, il padrone lo lasciò libero e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo si imbatté in uno dei suoi compagni
il quale gli doveva cento denari. Lo afferrò e, quasi
strozzandolo, diceva: Rendimi quanto mi devi! Il suo compagno,
gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Sii paziente con me e ti
rifonderò il debito. Ma egli non acconsentì, e andò a farlo gettare
in prigione, finché non gli avesse pagato il debito. Visto quel
che accadeva, gli altri servi se ne rattristarono grandemente e
andarono a riferire ogni cosa al loro padrone. Allora il padrone
fece chiamare quell’uomo e gli disse: Servo malvagio, ti ho
condonato tutto quel debito perché mi avevi supplicato. Non dovevi
anche tu aver pietà del tuo compagno, come io ho avuto pietà di te?
Preso dall’ira, il padrone lo consegnò agli aguzzini, finché non
gli avesse restituito tutto il dovuto. Proprio così anche il Padre
mio celeste tratterà voi, se non perdonerete di cuore ciascuno al
proprio fratello’.
Nessun commento:
Posta un commento