Domenica XI di Matteo
San Babila martire;
San Giuseppe di Otranto
Lettura della Domenica
4 settembre 2016
Apostolo
I Cor 9, 2-12
Fratelli, se per altri non sono apostolo, certo per voi lo sono; voi siete
il sigillo del mio apostolato nel Signore. Questa è la mia difesa contro
quelli che mi accusano. Non abbiamo forse noi il diritto di mangiare e
di bere? Non abbiamo il diritto di portare con noi una sorella, come
fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa? Ovvero
solo io e Barnaba non abbiamo il diritto di non lavorare? E chi mai
presta servizio militare a proprie spese? Chi pianta una vigna senza
mangiarne il frutto? O chi fa pascolare un gregge senza cibarsi del latte
del gregge? Io non dico questo da un punto di vista umano: la Legge
non dice forse così? Sta scritto infatti nella Legge di Mosè: “Non
metterai la museruola al bue che trebbia”. Forse Dio si dà pensiero dei
buoi? O parla proprio per noi? Certamente fu scritto per noi! Poiché
colui che ara deve arare nella speranza di avere la sua parte, come il
trebbiatore trebbiare nella stessa speranza. Se noi abbiamo seminato
in voi le cose spirituali, è forse gran cosa se mietiamo beni materiali?
Se altri hanno tale diritto su di voi, non l’avremmo noi di più? Noi
però non abbiamo voluto avvalerci di questo diritto, ma tutto
sopportiamo per non recare intralcio al Vangelo di Cristo.
Vangelo
Mt 18, 23-35
Disse il Signore: ‘Il regno dei cieli è simile a un re che volle fare
i conti con i suoi servi. Incominciati i conti, gli fu presentato
uno che gli era debitore di diecimila talenti. Non avendo però
costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fossero
venduti lui, la moglie, i figli e quanto possedeva e saldasse così
il debito. Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava:
Signore, sii paziente con me e ti restituirò ogni cosa. Impietositosi
del servo, il padrone lo lasciò libero e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo si imbatté in uno dei suoi compagni
il quale gli doveva cento denari. Lo afferrò e, quasi
strozzandolo, diceva: Rendimi quanto mi devi! Il suo compagno,
gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Sii paziente con me e ti
rifonderò il debito. Ma egli non acconsentì, e andò a farlo gettare
in prigione, finché non gli avesse pagato il debito. Visto quel
che accadeva, gli altri servi se ne rattristarono grandemente e
andarono a riferire ogni cosa al loro padrone. Allora il padrone
fece chiamare quell’uomo e gli disse: Servo malvagio, ti ho
condonato tutto quel debito perché mi avevi supplicato. Non dovevi
anche tu aver pietà del tuo compagno, come io ho avuto pietà di te?
Preso dall’ira, il padrone lo consegnò agli aguzzini, finché non
gli avesse restituito tutto il dovuto. Proprio così anche il Padre
mio celeste tratterà voi, se non perdonerete di cuore ciascuno
al proprio fratello’.
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