IV DOMENICA DI PASQUA: IL PARALITICO
Guarigione di un paralitico alla piscina probatica.
Discendere nell'acqua agitata
significava credere umilmente nella passione del Signore. In essa
veniva guarito uno solo per significare l'unità. Non veniva
guarito nessun altro, perché chiunque si separi dall'unità,
non può essere guarito.
[Il paralitico guarito simbolo di unità.]
1. Non ci si
dovrebbe meravigliare che Dio abbia compiuto un miracolo; ci sarebbe
da meravigliarsi se lo avesse compiuto un uomo. Dovrebbe riempirci di
meraviglia e di gaudio più il fatto che il Signore e salvatore
nostro Gesù Cristo sia diventato uomo, che non il fatto che
egli abbia compiuto cose divine in mezzo agli uomini. E' più
importante per la nostra salvezza ciò che egli si è
fatto per gli uomini, che non ciò che ha fatto tra gli uomini;
e conta più l'aver guarito i vizi delle anime che non l'aver
guarito le malattie dei corpi mortali. Ma siccome l'anima stessa non
conosceva colui che doveva guarirla, e aveva nella carne occhi per
vedere i fatti fisici mentre non aveva ancora occhi sani nel cuore
per conoscere Dio che era nascosto, il Signore fece delle cose che
essa poteva vedere, per guarire quegli altri occhi che non erano
capaci di vederlo. Egli entrò in un luogo dove giaceva una
grande moltitudine d'infermi, ciechi, zoppi, paralitici; e siccome
era il medico delle anime e dei corpi, ed era venuto per guarire
tutte le anime dei credenti in lui, fra tutti ne scelse uno da
guarire, a significare l'unità. Se consideriamo
superficialmente e secondo il modo umano d'intendere e di conoscere
le cose, non troveremo qui né un grande miracolo se pensiamo
alla potenza di lui, né un atto di grande bontà se
pensiamo alla sua benignità. Erano tanti, gli infermi, e uno
solo fu guarito: eppure il Signore, con una sola parola, avrebbe
potuto rimetterli tutti in piedi. Che cosa dobbiamo concludere, se
non che quella potenza e quella bontà operavano più con
lo scopo che le anime intendessero attraverso i suoi gesti il senso
che essi possiedono in ordine alla salute eterna, che non allo scopo
di procurare un qualche beneficio ai corpi in ordine alla salute
temporale? Perché la salute dei corpi, quella vera, che
attendiamo dal Signore, si otterrà alla fine dei secoli quando
risorgeranno i morti: allora, ciò che vivrà non morrà
più, ciò che sarà guarito non si ammalerà
più; chi sarà stato saziato non avrà più
né fame né sete, ciò che allora sarà
rinnovato non invecchierà più. Se consideriamo, adesso,
i fatti operati dal Signore e salvatore nostro Gesù Cristo,
vediamo che gli occhi dei ciechi che egli aprì, furono
richiusi dalla morte, e le membra dei paralitici da lui
ricompaginate, furono nuovamente disgregate dalla morte; e così
tutta la salute ridonata temporaneamente alle membra mortali, alla
fine è venuta meno, mentre l'anima che ha creduto è
passata alla vita eterna. Con la guarigione di questo infermo il
Signore ha voluto offrire un grande segno all'anima che avrebbe
creduto, i cui peccati egli era venuto a rimettere e le cui infermità
era venuto a guarire con la sua umiliazione. Intendo parlare come
posso del profondo mistero di questo fatto e di questo segno, secondo
che il Signore mi vorrà concedere, contando sulla vostra
attenzione e sulla vostra preghiera in soccorso alla mia debolezza.
Alla mia insufficienza supplirà il Signore, con l'aiuto del
quale io faccio quello che posso.
2. So di avervi
parlato più d'una volta di questa piscina che aveva cinque
portici, nei quali giaceva una grande moltitudine di infermi: quanto
dirò non sarà una cosa nuova per molti di voi. Non è
inutile però ritornare sulle cose già dette: così
chi non le conosce ancora potrà apprenderle, e chi le conosce
potrà approfondirle. Non sarà necessario soffermarci a
lungo: basterà una breve esposizione. Penso che quella piscina
e quell'acqua significhino il popolo giudaico. Che le acque
simboleggiano i popoli ce lo dice chiaramente Giovanni
nell'Apocalisse, quando, essendogli state mostrate molte acque e
avendo egli chiesto che cosa significassero, gli fu risposto che le
acque sono i popoli (cf. Apoc 17, 15). Quell'acqua, dunque, cioè
quel popolo, era circondato dai cinque libri di Mosè come da
cinque portici. Ma quei libri erano destinati a rivelare l'infermità,
non a guarire gli infermi. La legge infatti costringeva gli uomini a
riconoscersi peccatori, ma non li assolveva. Perciò, la
lettera senza la grazia creava dei colpevoli, che, riconoscendosi
tali, sarebbero stati liberati dalla grazia. E' quanto dice
l'Apostolo: Se infatti fosse stata concessa una legge capace di
dare la vita, la giustizia verrebbe davvero dalla legge. Perché,
allora, è stata data la legge? Continua l'Apostolo: La
Scrittura però ha tutto rinchiuso sotto il peccato, affinché
ai credenti la promessa fosse concessa in virtù della fede in
Gesù Cristo (Gal 3, 21-22). Niente di più
chiaro. Non ci danno, forse, queste parole, la spiegazione dei cinque
portici e della moltitudine degli infermi? I cinque portici
rappresentano la legge. Perché i cinque portici non riuscivano
a guarire gli infermi? Perché se fosse stata concessa una
legge capace di dare la vita, la giustizia verrebbe davvero dalla
legge. Perché non riuscivano a guarire quelli che
contenevano? Perché la Scrittura ha rinchiuso tutto sotto
il peccato, affinché ai credenti la promessa fosse concessa in
virtù della fede in Gesù Cristo.
3. E come mai
guarivano nell'acqua agitata, quanti non riuscivano a guarire nei
portici? Infatti, si vedeva l'acqua improvvisamente agitata e non si
vedeva chi era ad agitarla. E' da credere che ciò avvenisse
per virtù angelica, non senza allusione ad un mistero. Non
appena l'acqua veniva agitata, il primo malato che riusciva ad
immergervisi, guariva; dopo di lui, chiunque altro si gettasse
nell'acqua, lo faceva inutilmente. Che significa questo, se non che è
venuto un solo Cristo per il popolo giudaico e, con le sue grandi
opere, con i suoi insegnamenti salutari, ha turbato i peccatori; con
la sua presenza ha agitato le acque provocando la sua passione? Ma
agitò l'acqua rimanendo nascosto. Infatti, se l'avessero
conosciuto, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria (1
Cor 2, 8). Scendere nell'acqua agitata significa, dunque,
credere umilmente nella passione del Signore. Nella piscina veniva
guarito uno solo a significare l'unità. Chiunque arrivasse
dopo, non veniva guarito perché fuori dell'unità non si
può guarire.
[Il significato sacro del numero quaranta.]
4. Vediamo ora
che cosa ha voluto significare il Signore con quell'uno che solo fra
tutti i malati guarì, allo scopo, come abbiamo già
detto, di conservare il mistero dell'unità. Riscontrò
negli anni della sua malattia un numero che simboleggiava
l'infermità. Era ammalato da trentotto anni (Io 5, 5).
Va spiegato un po' meglio come questo numero si riferisca più
alla malattia che alla guarigione. Fate attenzione, vi prego: il
Signore mi aiuterà a parlare in modo adeguato, sicché
voi possiate sentire quanto basta. Il quaranta è un numero
sacro ed è simbolo di perfezione. Credo che ciò sia
noto a vostra Carità. Lo attestano insistentemente le divine
Scritture. Il digiuno, come sapete, ricevette il suo carattere sacro
da questo numero. Mosè digiunò quaranta giorni (cf. Ex
34, 28), altrettanto Elia (cf. 3 Reg 19, 8), e lo stesso Signore e
salvatore Gesù Cristo con il suo digiuno arrivò a
questo numero di giorni (cf. Mt 4, 2). Ora, Mosè rappresenta
la Legge, Elia i Profeti, il Signore il Vangelo. Per questo apparvero
tutti e tre su quel monte, dove il Signore si mostrò ai
discepoli sfolgorante nel volto e nella veste (cf. Mt 17, 1-3). Egli
apparve in mezzo a Mosè ed Elia, quasi a significare che il
Vangelo riceveva testimonianza dalla Legge e dai Profeti (cf Rom 3,
21). Tanto nella Legge, dunque, quanto nei Profeti e nel Vangelo, il
numero quaranta appare legato al digiuno. Ora, il digiuno vero e
completo, il digiuno perfetto, consiste nell'astenersi dall'iniquità
e dai piaceri illeciti del mondo: affinché rinnegando
l'empietà e le cupidigie del secolo, si viva in questo mondo
con temperanza, giustizia e pietà. Quale ricompensa,
secondo l'Apostolo, è riservata a tale digiuno? Continua
dicendo: aspettando quella beata speranza e la manifestazione
della gloria del beato Iddio, e Salvatore nostro Gesù Cristo
(Tit 2, 12-13). Noi celebriamo in questo mondo come una
quarantena di astinenza quando viviamo bene, quando ci asteniamo
dalla iniquità e dai piaceri illeciti; e siccome questa
astinenza non sarà senza una ricompensa, aspettiamo quella
beata speranza e la manifestazione della gloria del grande Iddio e
Salvatore nostro Gesù Cristo. In virtù di questa
speranza, quando la speranza sarà diventata realtà,
riceveremo in ricompensa un denaro. E' la ricompensa che, secondo il
Vangelo, vien data agli operai della vigna (cf Mt 20, 9-10).
Ricordate? Spero infatti di non dovervi sempre ricordare tutto, come
a gente rozza ed incolta. Si riceverà, dunque, come ricompensa
un denaro corrispondente al numero dieci, che, addizionato a
quaranta, fa cinquanta. Per questo celebriamo nella penitenza i
quaranta giorni prima della Pasqua, e nella letizia, come chi ha
ricevuto la ricompensa, i cinquanta giorni dopo la Pasqua. A questa
salutare disciplina di opere buone, cui si riferisce il numero
quaranta, si viene ad aggiungere il denaro del riposo e della
felicità, e si ha così il numero cinquanta.
5. Lo stesso
Signore Gesù ha voluto significare questo più
chiaramente, quando, dopo la risurrezione, passò in terra
quaranta giorni con i suoi discepoli (cf. Act 1, 3); e, asceso al
cielo nel quarantesimo giorno, dopo altri dieci giorni, inviò
il dono dello Spirito Santo (cf. Act 2, 1-4). Questi misteri sono
stati prefigurati, e i segni hanno preceduto la realtà. Di
tali segni ci nutriamo, in attesa di giungere alle realtà
permanenti. Siamo operai che ancora stanno lavorando nella vigna;
terminato il giorno, compiuta l'opera, ci verrà data la
ricompensa. Ma quale operaio può resistere fino alla
ricompensa se non si nutre durante il lavoro? Tu non dai al tuo
operaio soltanto la mercede, ma gli procuri altresì l'alimento
necessario per ristorarsi durante la fatica. Sì, nutri colui
al quale darai la ricompensa. Con questi contenuti della Scrittura il
Signore intende nutrire anche noi che ci affatichiamo a scoprirli. Se
ci fosse negata la gioia che ci viene dall'intelligenza dei misteri,
verremmo meno nella fatica e nessuno giungerebbe alla ricompensa.
[La carità compimento della legge.]
6. In che senso,
ora, il numero quaranta è simbolo dell'opera compiuta? Forse
perché la legge è stata articolata in dieci precetti, e
doveva essere predicata in tutto il mondo, il quale mondo si compone
di quattro parti: oriente, occidente, mezzogiorno e settentrione; per
cui, moltiplicando il numero dieci per quattro, abbiamo quaranta.
Oppure, perché il Vangelo, che è in quattro libri, è
il compimento della legge, secondo quanto nel Vangelo stesso è
detto: Non sono venuto per abolire la legge, ma per compierla
(Mt 5, 17), Sia per una ragione, sia per l'altra, sia per un'altra
ancora che a noi sfugge, anche se non sfugge a chi è più
dotto, è certo che il numero quaranta indica una certa
perfezione nelle buone opere, perfezione che consiste soprattutto
nell'esercizio dell'astinenza dai desideri illeciti del mondo, cioè
nel digiuno inteso nel senso più vero. Ascolta ancora
l'Apostolo che dice: La carità è il compimento della
legge (Rom 13, 10). E donde nasce la carità? Dalla
grazia di Dio, dallo Spirito Santo. Non proviene da noi, non ne siamo
noi gli autori. E' dono di Dio, e grande dono di Dio: La carità
di Dio è stata riversata nei nostri cuori per mezzo dello
Spirito Santo che ci è stato donato (Rom 5, 5). La carità,
dunque, compie la legge, come giustamente è stato detto: La
carità è il compimento della legge. Cerchiamola,
questa carità, come il Signore ci raccomanda. Ricordate il mio
proposito: spiegare il significato dei trentotto anni di
quell'infermo; perché quel numero trentotto debba riferirsi
piuttosto alla malattia che alla guarigione. La carità,
dicevo, è il compimento della legge. Il numero quaranta indica
il compimento della legge in tutte le azioni, e la carità ci
vien presentata in due precetti. Fate attenzione, vi prego, e fissate
nella vostra memoria quanto vi dico, per non esporvi al disprezzo
della parola, facendo diventare l'anima vostra una strada dove il
seme gettato non germoglia: Verranno gli uccelli e se lo
mangeranno (Mc 4, 4). Accogliete e tutto custodite nel vostro
cuore. Due sono i precetti della carità che il Signore
raccomanda: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con
tutta la tua anima, con tutta la tua mente; e amerai il prossimo tuo
come te stesso. A questi due precetti si riduce tutta la Legge e i
Profeti (Mt 22, 37-40). A ragione quella povera vedova che mise
due spiccioli nel tesoro del tempio per offerta a Dio, diede tutto
ciò che aveva per vivere (cf. Lc 21, 2-4); così, per
guarire quell'infermo ferito dai briganti, l'albergatore ricevette
due monete (cf. Lc 10, 35); così, Gesù passò due
giorni presso i Samaritani per rafforzarli nella carità (cf.
Io 4, 40). Essendo dunque il numero due simbolo di una cosa buona,
per mezzo di esso viene soprattutto inculcata la carità
distinta in due precetti. Ora, se il numero quaranta significa
perfezione della legge, e se la legge non si compie se non mediante
il duplice precetto della carità, ti fa meraviglia che
quell'uomo fosse infermo da quarant'anni meno due?
7. Vediamo ora
in che modo misterioso il Signore guarì questo infermo. E'
venuto infatti il Signore, maestro della carità, pieno di
carità, a ricapitolare - come di lui era stato predetto
- la parola sulla terra (Is 10, 23; 28, 22; Rom 9, 28), e
a mostrare che nei due precetti della carità tutta la Legge e
tutti i Profeti sono riassunti. In questi due precetti sono racchiusi
Mosè col suo digiuno di quaranta giorni, ed Elia con il suo; e
questo numero anche il Signore scelse a propria testimonianza. Il
paralitico è guarito dal Signore in persona; ma prima che cosa
gli dice Gesù? Vuoi essere guarito? (Io 5, 6). Quello
risponde che non ha un uomo che lo immerga nella piscina. Sì,
per essere guarito aveva assolutamente bisogno di un uomo, ma di un
uomo che fosse anche Dio. Unico infatti è Iddio, unico
anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù
(1 Tim 2, 5). E' venuto dunque l'uomo che era necessario; perché
differire ancora la guarigione? Alzati - gli dice il Signore -
prendi il tuo lettuccio e cammina (Io 5, 8). Tre cose gli ha
detto: Alzati, prendi il tuo lettuccio, cammina. Ma la parola
alzati, non espresse il comando di qualcosa da farsi, ma
l'atto stesso della guarigione. All'infermo già guarito, il
Signore ordina poi due cose: Prendi il tuo lettuccio e cammina.
Ora io vi domando: non bastava ordinargli: cammina? oppure
dire soltanto alzati? Una volta alzatosi guarito, sicuramente
non sarebbe rimasto là. Non si sarebbe alzato per camminare?
Mi colpisce anche il fatto che il Signore abbia comandato due cose a
quell'uomo che egli aveva trovato infermo da quarant'anni meno due.
Era come comandargli le altre due cose che gli mancavano per arrivare
a quaranta.
[Per vedere Dio bisogna amare il prossimo.]
8. Come, adesso,
possiamo vedere simboleggiati in questi due ordini del Signore -
Prendi il tuo lettuccio e cammina - i due precetti? Ricordiamo
insieme, o fratelli, quali sono questi due precetti. Essi infatti
debbono essere ben presenti in voi: non dovete richiamarli alla mente
solo quando ve li ricordiamo; anzi, mai devono cancellarsi dai vostri
cuori. Sempre, in ogni istante, dovete ricordarvi che si deve amare
Dio e il prossimo: Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con
tutta la mente, e il prossimo come noi stessi (Lc 10, 27). Questo
è ciò che dovete pensare sempre, meditare sempre,
ricordare sempre, praticare sempre, compiere sempre alla perfezione.
L'amore di Dio è il primo che viene comandato, l'amore del
prossimo è il primo che si deve praticare. Enunciando i due
precetti dell'amore, il Signore non ti raccomanda prima l'amore del
prossimo e poi l'amore di Dio, ma mette prima Dio e poi il prossimo.
Ma siccome Dio ancora non lo vedi, meriterai di vederlo amando il
prossimo. Amando il prossimo rendi puro il tuo occhio per poter
vedere Dio come chiaramente dice Giovanni: Se non ami il fratello
che vedi, come potrai amare Dio che non vedi? (1 Io 4, 20). Ti
vien detto: ama Dio. Se tu mi dici: mostrami colui che devo amare, ti
risponderò con Giovanni: Nessuno ha mai veduto Dio (Io
1, 18). Con ciò non devi assolutamente considerarti escluso
dalla visione di Dio, perché l'evangelista afferma: Dio è
carità, e chi rimane nella carità rimane in Dio (1
Io 4, 16). Ama dunque il prossimo, e mira dentro di te la
fonte da cui scaturisce l'amore del prossimo: ci vedrai, in quanto ti
è possibile, Dio. Comincia dunque con l'amare il prossimo.
Spezza il tuo pane con chi ha fame, e porta in casa tua chi è
senza tetto; se vedi un ignudo, vestilo, e non disprezzare chi è
della tua carne. Facendo così, che cosa succederà?
Allora sì che quale aurora eromperà la tua luce
(Is 58, 7-8). La tua luce è il tuo Dio. Egli è
per te luce mattutina, perché viene a te dopo la notte di
questo mondo. Egli non sorge né tramonta, risplende sempre.
Sarà luce mattutina per te che ritorni, lui che per te era
tramontato quando t'eri perduto. Dunque, con quel prendi il tuo
lettuccio e cammina, mi sembra che il Signore voglia dire: ama
il tuo prossimo.
[Camminare insieme.]
9. Rimane oscuro
e richiede spiegazione, a mio parere, il fatto che il Signore comanda
l'amore del prossimo nell'atto in cui ordina di prendere il
lettuccio, non sembrandoci conveniente che il prossimo venga
paragonato ad una cosa piuttosto banale e inanimata, come è un
lettuccio. Non si offenda il prossimo, se il Signore ce lo raccomanda
per mezzo di una cosa priva di anima e di intelligenza. Lo stesso
Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo fu chiamato pietra
angolare, destinato a riunire in sé due muri, cioè due
popoli (cf. Eph 2, 14-20). Fu chiamato anche rupe, da cui scaturì
l'acqua: E quella rupe era Cristo (1 Cor 10, 4). Che
meraviglia, dunque, se il prossimo è simboleggiato nel legno
del lettuccio, dal momento che Cristo fu simboleggiato nella rupe?
Non qualsiasi legno, tuttavia, è simbolo del prossimo, come
non qualsiasi rupe era simbolo di Cristo, ma quella rupe da cui
scaturiva l'acqua per gli assetati; né una qualunque pietra,
ma la pietra angolare che unì in sé i due muri di
opposta provenienza. Così non devi vedere il simbolo del
prossimo in qualsiasi legno, ma nel lettuccio. Ora io ti domando:
perché proprio nel lettuccio viene simboleggiato il prossimo,
se non perché quel tale mentre era infermo veniva portato nel
lettuccio, e, una volta guarito, era lui a portare il lettuccio? Cosa
dice l'Apostolo? Portate i pesi gli uni degli altri, e così
voi adempirete la legge di Cristo (Gal 6, 2). La legge di
Cristo è la carità, e la carità non si compie se
non portiamo i pesi gli uni degli altri. Sopportatevi a vicenda
con amore, - aggiunge l'Apostolo - e studiatevi di conservare
l'unita dello spirito mediante il vincolo della pace (Eph 4,
2-3). Quando tu eri infermo venivi portato dal tuo prossimo;
adesso che sei guarito devi essere tu a portare il tuo prossimo:
Portate i pesi gli uni degli altri, e così voi adempirete
la legge di Cristo. E' così, o uomo, che tu completerai
ciò che ti mancava. Prendi, dunque, il
tuo lettuccio. E quando l'avrai preso, non fermarti, cammina!
Amando il prossimo e interessandoti di lui, tu camminerai. Quale
cammino farai, se non quello che conduce al Signore Iddio, a colui
che dobbiamo amare con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta
la mente? Al Signore non siamo ancora arrivati, ma il prossimo lo
abbiamo sempre con noi. Porta dunque colui assieme al quale cammini,
per giungere a Colui con il quale desideri rimanere per sempre.
Prendi, dunque, il tuo lettuccio e cammina.
10. Così
fece quello, e i Giudei si scandalizzarono. Essi vedevano un uomo
portare il suo giaciglio di sabato e non osavano prendersela col
Signore che lo aveva guarito di sabato, perché temevano che
rispondesse: Chi di voi, se un giumento gli cade nel pozzo, non lo
tira fuori in giorno di sabato, e non lo salva? (cf. Lc 14, 5).
Perciò non rimproveravano lui d'aver guarito un uomo di
sabato, ma facevano osservazione a quell'uomo perché portava
il suo giaciglio. Ammesso che non si dovesse rinviare la guarigione,
era lecito dare quell'ordine? Perciò dicevano: Non ti è
lecito fare quello che fai, portar via il tuo lettuccio. E quello
appellandosi all'autore della sua guarigione: Chi mi ha guarito,
mi ha detto: Prendi il tuo letto e cammina. Potevo non accettare
un ordine da chi avevo ricevuto la guarigione? E quelli: Chi è
quell'uomo che ti ha detto: Prendi il tuo letto e cammina? (Io 5,
10-12).
11. Il guarito
non sapeva chi fosse l'uomo che gli aveva dato quell'ordine. Gesù
infatti - dopo aver compiuto il miracolo e dato l'ordine - era
scomparso tra la folla (Io 5, 13). Notate questo particolare. Noi
portiamo il prossimo e camminiamo verso Dio; e allo stesso modo che
noi non vediamo ancora Colui verso il quale camminiamo, così
quello non conosceva ancora Gesù. E' un mistero che ci viene
suggerito: noi crediamo in Colui che ancora non vediamo, ed Egli per
non esser visto, scompare tra la folla. E' difficile scorgere Cristo
in mezzo alla folla. La nostra anima ha bisogno di solitudine. Nella
solitudine, se l'anima è attenta, Dio si lascia vedere. La
folla è chiassosa: per vedere Dio è necessario il
silenzio. Prendi il tuo lettuccio, porta il tuo prossimo, dal
quale sei stato portato; e cammina, per raggiungere Dio. Non
cercare Gesù tra la folla, perché egli non è uno
della folla: ha preceduto in tutti i modi la folla. Quel grande Pesce
salì per primo dal mare, e siede in cielo ad intercedere per
noi: egli solo, come grande sacerdote, è penetrato nel Santo
dei Santi oltre il velo, mentre la folla rimane fuori. Cammina, tu
che porti il prossimo; purché abbia imparato a portarlo, tu
che eri abituato a farti portare. Insomma, tu ancora non conosci
Gesù, ancora non vedi Gesù; ma ascolta ciò che
segue. Siccome quello non abbandonò il suo lettuccio e
seguitava a camminare, poco dopo Gesù lo incontrò
nel tempio. Non lo aveva incontrato in mezzo alla folla, lo
incontrò nel tempio. Il Signore Gesù vedeva lui sia tra
la folla, sia nel tempio; l'infermo non riconobbe Gesù tra la
folla, ma solo nel tempio. Quello, dunque, raggiunse il Signore: lo
incontrò nel tempio, nel luogo sacro, nel luogo santo. E che
cosa si sentì dire? Ecco, sei guarito; non peccare più,
affinché non ti succeda di peggio (Io 5, 14).
12. Allora
quell'uomo, dopo che ebbe visto Gesù e seppe che era lui
l'autore della sua guarigione, senza indugio corse ad annunciare chi
aveva visto: se ne andò a dire ai Giudei che era stato Gesù
a guarirlo (Io 5, 15). Quell'annuncio li riempì di
furore: egli proclamava la sua salvezza, ma quelli non cercavano la
propria.
[Il mistero del sabato.]
13. 1 Giudei
perseguitavano Gesù, perché faceva queste cose di
sabato. Sentiamo che cosa risponde il Signore ai Giudei. Vi ho
già detto cosa era solito rispondere, a proposito delle
guarigioni operate di sabato: che loro non lasciavano perire, di
sabato, i loro animali, alzandoli se caduti o nutrendoli. A proposito
del giaciglio portato di sabato che cosa risponde? Agli occhi dei
Giudei appariva senz'altro un'opera corporale, non la guarigione del
corpo, ma l'attività del corpo, tanto più che questa
non sembrava così necessaria come la guarigione. Ci riveli,
dunque, il Signore, il mistero del sabato e il significato
dell'osservanza di quel giorno di riposo temporaneamente prescritta
ai Giudei, e ci insegni come questo mistero abbia trovato in lui il
suo compimento. Il Padre mio - dice - continua ad agire ed
anch'io agisco (Io 5, 16-17). Provocò in mezzo ad
essi un grande tumulto: l'acqua è agitata dalla venuta del
Signore, ma colui che la agita rimane nascosto. Tuttavia per
l'agitazione dell'acqua, cioè per la passione del Signore, il
mondo intero, come un solo grande malato, ottiene la guarigione.
14. Vediamo
dunque la risposta della Verità: Il Padre mio continua ad
agire e anch'io agisco. Allora non è vero quello che dice
la Scrittura, che Dio si riposò nel settimo giorno da tutte
le sue opere (Gen 2, 2)? E il Signore contraddirebbe questa
Scrittura, dovuta a Mosè, quando egli stesso dice ai Giudei:
Se credeste a Mosè, credereste anche a me; di me infatti
egli ha scritto (Io 5, 46)? Vediamo, dunque, se le parole di
Mosè: nel settimo giorno Dio si riposò, non
abbiano un altro significato. Dio infatti non aveva cessato di
lavorare sospendendo l'opera della creazione, né aveva bisogno
di riposo come l'uomo. Come poteva stancarsi colui che aveva fatto
tutto mediante la parola? Tuttavia è vero che nel settimo
giorno Iddio si riposò, ed è ugualmente vero ciò
che dice Gesù: il Padre mio continua ad agire. Ma come
potrà spiegare questo mistero un uomo ad altri uomini come
lui, deboli come lui, come lui ignoranti e desiderosi di apprendere?
E ammesso che un uomo abbia capito qualcosa, come potrà
esprimerlo e spiegarlo a chi tanto difficilmente intende anche quando
si riesce ad esprimere ciò che si capisce? Chi riuscirà,
o miei fratelli, a spiegare a parole come possa Dio operare senza
affaticarsi e riposarsi continuando ad operare? Aspettate, vi prego,
di aver fatto ulteriori progressi nella via di Dio. Per vedere questo
bisogna essere arrivati nel tempio di Dio, nel luogo santo.
Caricatevi del prossimo e camminate. Arriverete a vedere Dio là
dove non avrete più bisogno di parole umane.
15. Credo si
possa dire, piuttosto, che il riposo di Dio nel settimo giorno era un
grande segno misterioso dello stesso Signore e Salvatore nostro Gesù
Cristo, il quale dichiarò: Il Padre mio continua ad agire,
e anch'io agisco. Anche il Signore Gesù è Dio. Egli
è il Verbo di Dio, e voi avete sentito che in principio era
il Verbo; e non un verbo qualsiasi, ma il Verbo era Dio, e
tutte le cose furono fatte per mezzo di lui (Io 1, 1 3). Qui
forse c'è il significato del riposo di Dio da tutte le sue
opere nel settimo giorno. Leggete infatti il Vangelo e vedrete quante
cose mirabili Gesù ha compiuto. Ha operato sulla croce la
nostra salvezza, affinché si compissero in lui tutti gli
oracoli dei profeti; fu coronato di spine, fu appeso alla croce;
disse: Ho sete (Io 19, 28), e prese l'aceto di cui era
imbevuta la spugna, affinché si adempisse la profezia: Nella
mia sete mi hanno abbeverato con aceto (Ps 68, 22). Ma quando
tutte le sue opere furono compiute, nel giorno sesto, reclinò
il capo e rese lo spirito, e il sabato si riposò nel sepolcro
da tutte le sue fatiche. Quindi è come se dicesse ai Giudei:
Perché vi aspettate che io non operi di sabato? La legge del
sabato vi è stata data in riferimento a me. Volgete
l'attenzione alle opere di Dio: io ero presente quando esse venivano
compiute e tutte sono state compiute per mio mezzo. Io so che il
Padre mio continua ad agire. Il Padre ha creato la luce; egli
disse: Sia fatta la luce (cf. Gen 1, 3); ma, se disse, vuol
dire che operò per mezzo del Verbo. Ed io ero, io sono il suo
Verbo; per mezzo mio attraverso quelle opere il mondo è stato
creato, e per mezzo mio attraverso queste opere il mondo è
governato. Il Padre mio operò allora, quando creò il
mondo, e ancora adesso opera governando il mondo. Creando ha creato
per mezzo mio, governando governa per mezzo mio. Questo ha detto il
Signore, ma a chi? A dei sordi, a dei ciechi, a degli zoppi, a dei
malati che non volevano saperne del medico, e nella loro pazzia
volevano ucciderlo.
16. Proseguendo
l'evangelista dice: Per questo, a maggior ragione, i Giudei
volevano ucciderlo, perché non solo violava il sabato, ma
chiamava Dio suo proprio Padre. E non chiamava Dio suo padre in
senso generico, ma in senso preciso e unico: facendosi uguale a
Dio (Io 5, 18). Infatti anche noi diciamo a Dio: Padre nostro
che sei nei cieli (Mt 6, 9); dalla Scrittura sappiamo anche che i
Giudei dicevano a Dio: Sei tu il nostro padre (Is 63, 16; 64,
8). Non reagivano perché chiamava Dio suo padre in questo
senso, ma perché lo chiamava padre suo in un senso
assolutamente diverso da come lo chiamano gli uomini. I Giudei hanno
capito ciò che invece gli Ariani non capiscono. Gli Ariani
dicono che il Figlio non è uguale al Padre, e di qui l'eresia
che affligge la Chiesa. Ecco, gli stessi ciechi, gli stessi che
giunsero a uccidere Cristo, compresero il senso delle parole di
Cristo. Non compresero che era lui il Cristo, tanto meno che era il
Figlio di Dio, e tuttavia hanno compreso che con quelle parole egli
si presentava come Figlio di Dio, uguale a Dio. Non sapevano chi
fosse, ma si rendevano conto che si presentava come Figlio di Dio,
perché chiamava Dio suo padre, facendosi uguale a Dio. Ma
forse che non era uguale a Dio? Non era lui a farsi uguale a Dio, ma
era Dio che lo aveva generato uguale a sé. Se di sua
iniziativa si fosse fatto uguale a Dio, tale usurpazione lo avrebbe
fatto cadere in disgrazia di Dio. Colui, infatti, che pretese di
farsi uguale a Dio, senza esserlo, cadde in disgrazia (cf. Is 14,
14-15), e da angelo diventò diavolo, e propinò all'uomo
il veleno della superbia per cui questi fu cacciato dal paradiso.
Infatti, cosa suggerì all'uomo, che invidiava perché
era rimasto in piedi mentre lui era caduto? Gustate il frutto, e
diventerete come dèi (Gen 3, 5); cioè, carpite con
la frode ciò che non siete, come ho fatto io che, avendo
tentato di usurpare la natura divina, sono stato cacciato. Non si
esprimeva proprio così, ma questo era il contenuto della sua
tentazione. Cristo invece non era diventato, ma era nato uguale al
Padre: è stato generato dalla stessa sostanza del Padre, come
ce lo ricorda l'Apostolo: Egli, pur essendo della stessa forma di
Dio, non stimò un'usurpazione l'essere uguale a Dio. Che
significa non stimò un'usurpazione? Significa che non
usurpò la sua uguaglianza con Dio, poiché la possedeva
già fin dalla nascita. E noi, come potremo pervenire a colui
che è uguale a Dio? Egli annientò se stesso col
prendere forma di servo (Phil 2, 6-7). Annientò se stesso,
non perdendo ciò che era, ma assumendo ciò che non era.
I Giudei disprezzando questa forma di servo, erano incapaci di
comprendere che Cristo Signore era uguale al Padre, benché non
potessero dubitare che questo di sé egli affermava: anzi per
questo lo perseguitavano. Gesù, tuttavia, li sopportava e
cercava di guarire quelli che si accanivano contro di lui.
Nessun commento:
Posta un commento