mercoledì 28 marzo 2012

GIOVANNI CLIMACO SI COMMEMORA IL 30 MARZO






GIOVANNI CLIMACO

San Giovanni Climaco, Abate e Dottore della Chiesa, 569/579/599,  nato in località ignota (Siria?) -  morto Monte Sinai, 30 marzo circa 603/649/659/679 (30 marzo  calendario greco e  si   commemora nella Quarta Domenica di Quaresima) Martirologio Romano: Sul Monte Sinai, San Giovanni, Abate, che scrisse per l’istruzione dei monaci il celebre libro intitolato «La Scala del paradiso», nel quale presentò un cammino di perfezionamento spirituale nella forma di una salita di trenta gradini verso Dio, meritando per questo il soprannome di Clímaco.
Molto poco si sa di san Giovanni detto Climaco (da klimax, scala) o Scolastico (equivalente a “filosofo”), festeggiato dai cattolici il 30 marzo e dagli ortodossi sia il 30 marzo che la quarta domenica di Quaresima.
Forse nacque in Siria, tra il 569 e il 599, da una famiglia agiata ed ebbe una formazione intellettuale completa, in lingua greca. Gli antichi documenti che parlano di Giovanni – la Vita scritta da Daniele monaco di Raithu (sul Mar Rosso), una raccolta di racconti di Anastasio, monaco sinaita di origine cipriota che fu tonsurato dallo stesso Giovanni, il Menaion del 30 marzo, giorno della sua presunta morte, e altri testi successivi, basati quindi su quelli citati – raccontano la sua vita da quando, sedicenne, abbracciò la vita monastica. Visse in una grotta vicino al monastero di Santa Caterina sul Monte Sinai con l’abate Martirio (Martyrius), suo maestro e guida spirituale, praticando l’obbedienza assoluta per diciannove anni, cioè fino alla morte di Martirio. Giovanni si ritirò quindi in un luogo solitario chiamato Thola (Wadi Talah), a cinque miglia dal monastero di Santa Caterina. Dopo quarant’anni di vita contemplativa cedette alle insistenze di un giovane monaco, Mosè, e ne diventò il padre spirituale. Pur famoso per la sua solida formazione intellettuale e, soprattutto, spirituale, unita ad alcuni eventi inspiegabili (come la liberazione di un monaco dal demone della fornicazione, il salvataggio “a distanza” del discepolo Mosè dalla caduta di un macigno, alcuni episodi di chiaroveggenza), Giovanni fu accusato di essere un ciarlatano ed egli rispose chiudendosi nel silenzio assoluto per un anno intero. Forse colpiti anche da questa prova di fermezza, i monaci di Santa Caterina lo vollero come loro nuovo igumeno, giacché il loro superiore, Gregorio, era stato eletto patriarca di Antiochia. Giovanni, a settantacinque anni, accettò ed è probabilmente a questo periodo che risale la sua opera più famosa: La scala della divina ascensione (Klimax theias anodou), più nota col titolo La scala del paradiso (Klimax tou paradeisou), da cui derivò il suo soprannome “Climaco”. Dopo pochi anni, Giovanni chiese al proprio fratello Giorgio, monaco anch’egli, di sostituirlo e ritornò alla solitudine fino alla morte, avvenuta tra gli anni 659 e 679. Le date precise non sono note: anche se nel Menaion si sostiene che Giovanni morì il 30 marzo 603, il giorno e l’anno non trovano riferimenti certi e in ogni caso l’anno non combacia con più attendibili informazioni storiche.
La Penisola Sinaitica – dove sorge il monastero di Santa Caterina – è stata considerata fin dai primi tempi del cristianesimo come parte integrante della Terra Santa, in quanto luogo dove Mosè ebbe da Dio le tavole della Legge e dove avvenne il fenomeno del “roveto ardente”, tema di molte icone mariane, prefigurazione dell’Incarnazione di Cristo per mezzo della Vergine. Certamente, già nel III secolo vi abitavano molti eremiti sfuggiti alle persecuzioni che imperversavano in Egitto, ma fu nel VI secolo che l’imperatore Giustiniano autorizzò la costruzione di un monastero sul Sinai, che fu rispettato anche dai Saraceni invasori dei territori circostanti (da notare che Maometto era contemporaneo a san Giovanni Climaco) e che diventò uno dei più importanti centri monastici orientali e, in particolare, di diffusione e irradiazione dell’esicasmo (o esichia), cioè la dottrina e la pratica ascetica diffusa tra i monaci dell'Oriente cristiano fin dai tempi dei Padri del deserto (IV secolo).

Il 30 marzo, le Chiese cattoliche e ortodosse ricordano insieme San Giovanni Climaco (Ιωάννης της Κλίμακος).

Il suo soprannome è venuto dall'opera che l'ha reso celebre, uno dei capolavori dell'ascetica monastica: "La scala del Paradiso" (Κλίμαξ). San Giovanni Climaco, contemporaneo di Maometto, propone i trenta gradini che portano dalla terra fino al cielo, arrampicandosi sulla scala posta e sorretta da Cristo stesso, che per primo l'ha percorsa. Le icone che "fotografano" la scala giovannea mostrano la lotta spirituale: i monaci ascendono pericolosamente, senza reti di protezione, esortati dai santi, aiutati dagli angeli, ma insidiati dai demoni, che cercano di farli cadere per attirarli nel profondo dell'inferno. La visione "agonistica" della vita spirituale è qualcosa da recuperare nel nostro tempo, dove ormai domina uno psicologismo che rischia di rinchiudere in se stessi e nei propri limiti, problemi, inconsistenze, fermando all'analisi e spesso deresponsabilizzando ("sono fatto così!...).

Sul valore del testo di San Giovanni "della scala" i cristiani d'Oriente e Occidente sono sempre stati d'accordo, diffondendo enormemente questo libro, attraverso traduzioni in tutte le lingue antiche della cristianità. Nella tradizione Bizantina, la quarta domenica di Quaresima è dedicata alla commemorazione del Climaco, visto come un incoraggiante maestro sulla via dei propositi quaresimali e dei sacrifici connessi con la purificazione prepasquale per tutti i fedeli.
 In greco, “climaco” significa “quello della scala”. Così è soprannominato Giovanni, monaco e abate, perché ha scritto una famosissima guida spirituale in greco: Klimax tou Paradeisou, ossia “Scala del Paradiso”. Ma di lui abbiamo scarse notizie: incerte le date di nascita e di morte, sconosciuta la famiglia (sappiamo però di un fratello, Giorgio, anche lui monaco).Giovanni vive nel tempo in cui l’Italia è spartita tra Longobardi e Impero d’Oriente; i rissosi discendenti di Clodoveo sono padroni dell’antica Gallia, che ormai è terra dei Franchi, Francia; i re visigoti governano la Spagna. E questo è anche il tempo in cui dall’Arabia profonda emerge la figura di Maometto (570/8-632).Giovanni, eccolo: lo troviamo nella penisola del Sinai, monaco a vent’anni, tra molti altri, chi legato a un centro di vita comune, chi invece isolato in preghiera solitaria. Lui sperimenta entrambe le forme di vita, e poi si fissa nel monastero di Raithu, nel sud-ovest della regione. Ma verso i 60 anni lo chiamano a guidare come abate un altro grande e più famoso cenobio: quello del Monte Sinai. E lì, stimolato dall’abate di Raithu, porta a termine la “Scala”, che diventerà popolarissima, tradotta in latino, siriaco, armeno, arabo, slavo.Giovanni non si muove dal monastero, e la sua fama corre invece per il mondo cristiano, grazie al libro con i suoi insegnamenti, che non cercano davvero la popolarità facile, e non fanno sconti. Se qualcuno crede che fare il monaco sia un devoto passatempo, Giovanni lo raddrizza bruscamente: la vita del monaco, scrive, dev’essere "una costrizione incessante sulla natura e una costante influenza sui sensi". Ma suscita pure grandiose speranze quando afferma che le lacrime del pentimento hanno il valore quasi di un nuovo battesimo. Alla “Scala” egli aggiunge poi un breve testo-guida per i superiori, forse ispirato a un’opera simile: la Regula pastoralis di papa Gregorio Magno, tradotta in greco ad Antiochia. Papa Gregorio fa in tempo a conoscere Giovanni da lontano: gli scrive una lettera di elogio, e lo aiuta a ingrandire un suo ospizio per pellegrini, mandandogli il denaro necessario per quindici nuovi letti, e fornendo direttamente le coperte.Giovanni Climaco insegna nel suo monastero a viva voce. Ma attraverso il libro raggiunge sempre nuovi e sconosciuti discepoli, in Oriente e Occidente. La “Scala” è cercata e studiata per l’efficace chiarezza della sintesi dottrinale e per il valore delle esperienze di Giovanni in prima persona. Secondo studi recenti, egli sarebbe morto nel 649, anche se non tutto è certo. Certo e stimolante, invece, è un fatto: su di lui i cristiani d’Oriente e d’Occidente sono stati sempre concordi: ancora oggi celebrano la sua festa nello stesso giorno.
Meglio integrate nella Quaresima sono le commemorazioni di San Giovanni Climaco, la Quarta Domenica, e di Santa Maria Egiziaca, la Quinta Domenica. In questi due santi la Chiesa vede gli araldi e i testimoni massimi dell’ascetismo cristiano: san Giovanni è colui che ha espresso i principi dell’ascetismo nei suoi scritti, santa Maria nella sua vita. La loro commemorazione durante la seconda metà della Quaresima mira evidentemente a incoraggiare e ispirare i credenti impegnati nella lotta mediante lo sforzo spirituale quaresimale.
Poiché, però, l’ascetismo è da praticare e non soltanto da commemorare, la commemorazione di questi due santi è in vista del nostro sforzo personale di Quaresima. Consideriamolo come una indicazione generale di quanto la Chiesa desidera che noi facciamo durante la Quaresima: sforzarci di arricchire spiritualmente e intellettualmente il nostro mondo interiore, leggere e meditare su quelle cose che maggiormente ci possono aiutare a ritrovare il nostro mondo interiore e la sua gioia. Di questa gioia, della vera vocazione dell’uomo, quella che si realizza al di dentro e non al di fuori, il “mondo moderno” non ci dà oggi neppure la più pallida idea; eppure, senza questa gioia, senza la comprensione della Quaresima come un viaggio nelle profondità della nostra umanità, la Quaresima perde tutto il suo significato.
Noi  non  viviamo in  una  società ortodossa e  perciò non  è possibile  creare un “clima” di Quaresima a livello sociale. Quaresima o non Quaresima, il mondo che ci circonda e di cui siamo parte integrante non cambia. 
Di conseguenza, questa situazione esige da noi un nuovo sforzo di ripensare il rapporto religioso che esiste necessariamente fra l’esterno e l’interno.
Se dunque la Quaresima è per l’uomo la riscoperta della propria fede, essa è per lui anche la riscoperta della vita, del suo significato divino, della sua profondità sacra. È astenendoci dal cibo che noi riscopriamo la sua dolcezza e reimpariamo a riceverlo da Dio con gioia e gratitudine. È astenendoci dalla musica e dal divertimento, dalle conversazioni e dagli incontri superficiali che noi riscopriamo il valore ultimo delle relazioni umane, del lavoro dell’uomo, della sua arte. E noi riscopriamo tutto questo per il semplice motivo che riscopriamo Dio stesso, che ritorniamo a Lui e, in Lui, a tutto ciò che Egli ci ha dato nel suo infinito amore e nella sua misericordia. E, perciò, la notte di Pasqua cantiamo: “Oggi tutte le cose sono riempite di luce: il cielo la terra e gli inferi. Tutta la creazione celebra la risurrezione di Cristo; il lui è il suo fondamento”. Non deluderci in questa nostra speranza, o Amico degli uomini !





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