sabato 8 marzo 2014

"L'UTILITÀ DEL DIGIUNO " dai discorsi di Beato Agostinus di Hipponensis Dottore della Chiesa

DAI DISCORSI DEL BEATO AGOSTINUS DI HIPPONENSIS 

(354 - 430 d.c.)

Dottore della Chiesa

File:Saint Augustine Portrait.jpg



L'UTILITÀ DEL DIGIUNO


Fame degli uomini, fame degli angeli. Fame e sete di giustizia.
1. 1. Dire qualcosa sul digiuno è un'ispirazione divina e anche il tempo dell'anno ci invita a farlo. E` un'osservanza questa, una virtù dell'animo, un vantaggio dello spirito a spese della carne, e non può essere oggetto di offerta a Dio da parte degli angeli. In cielo vi è ogni abbondanza e sazietà eterna. Lì non manca nulla perché in Dio si appaga ogni desiderio. Lì il pane degli angeli è Dio, che si è fatto uomo perché anche l'uomo potesse cibarsene 1. Qui tutte le anime, che sono vestite di un corpo terreno, riempiono il ventre dei frutti della terra, là gli spiriti razionali, che governano corpi celesti, riempiono di Dio le loro menti. Tanto qui che lì vi è un cibo. Ma questo cibo nostro nel momento stesso che ristora viene meno; diminuisce nella misura in cui riempie. Quello invece rimane integro anche quando riempie. Bisogna aver fame di quel cibo. Lo prescrive Cristo quando dice: Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati 2. Nel corso della vita terrena compete agli uomini aver fame e sete di giustizia, ma esserne appagati appartiene all'altra vita. Gli angeli si saziano di questo pane, di questo cibo. Gli uomini invece ne hanno fame, sono tutti protesi nel desiderio di esso. Questo protendersi nel desiderio dilata l'anima, ne aumenta la capacità. Fatti più capaci, a suo tempo saranno appagati. Che dire allora? Che su questa terra non ricevono alcun appagamento quelli che hanno fame e sete di giustizia? Sì che ricevono qualcosa, ma un conto è la refezione del viandante, un altro la perfezione dei beati. Ascolta l'Apostolo, che ha fame e sete, e certamente di giustizia, la più che se ne può raggiungere in questa vita, la più che se ne può praticare. Nessuno oserebbe confrontarsi con lui nonché ritenersi superiore. Dice dunque: Non che io abbia già acquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione 3. E considerate chi è che parla: il " Vaso di elezione " 4, l'estremo lembo, per così dire, del vestito del Salvatore, una estrema frangia che tuttavia sana chi la tocca, come la donna che pativa perdite di sangue, perché aveva fede 5. E` l'ultimo e il più piccolo degli Apostoli, come egli stesso dice: Io sono l'ultimo degli Apostoli, e: Io sono l'infimo degli Apostoli, e ancora: Non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Ma per grazia di Dio sono quello che sono e la sua grazia in me non è stata vana, anzi ho faticato più di tutti loro; non io però, ma la grazia di Dio con me 6. Ascoltando queste parole, ti sembra di ascoltare uno che è ripieno di grazia, al colmo della perfezione. Ma se l'hai ascoltato quando è sazio, ascolta di che cosa ha ancora fame. Dice: Non che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione, e:Fratelli, io non ritengo di aver raggiunto la meta, ma una cosa sì: dimentico del passato e proteso verso il futuro corro verso la meta, per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere in Cristo Gesù 7. Dice di non essere ancora perfetto, di non avere ancora ricevuto, di non avere ancora raggiunto. Ma dice di essere proteso in avanti; di correre verso il premio della chiamata eterna. E` in viaggio; ha fame, vuol essere saziato, si affretta, desidera giungere, brucia: nulla gli tarda quanto essere sciolto dal corpo per essere con Cristo 8.
Alimento terreno, alimento celeste.
2. 2. Dunque, carissimi, come c'è un alimento terreno, di cui si nutre la carne debole, c'è anche un alimento celeste di cui si ricolma l'anima pia. L'uno e l'altro hanno un ruolo vitale: l'uno per gli uomini, l'altro per gli angeli. Tengono un luogo intermedio gli uomini di fede, distinti nel loro animo dalla turba degli infedeli. Essi sono protesi verso Dio, e a loro va il richiamo: In alto il cuore 9, perché hanno la speranza di un'altra vita 10 e sanno che in questo mondo sono di passaggio 11. Essi non si possono confrontare con quelli che ritengono essere un bene solo il godimento dei piaceri terreni 12 e neppure con quegli altri che abitano le supreme sedi del cielo, la cui sola delizia è quel Pane stesso da cui sono stati creati. Quelli che sono chini sulla terra, in cerca di cibo e di piacere che riguardi la sola carne, sono da paragonarsi agli animali. Distano di gran lunga dagli angeli per la condizione obiettiva e per il costume morale: per la condizione, perché sono mortali; per il costume, perché sono sensuali. Fra quel popolo celeste e quello terrestre era in certo modo sospeso l'Apostolo; là s'incamminava, di là ritornava, là tendeva da qui sollevandosi. Non poteva ancora dirsi partecipe di quel popolo, perché allora avrebbe detto: " Sono nella perfezione "; né era con questi uomini pigri, inerti, fiacchi, sonnolenti, che non credono se non in ciò che vedono e in ciò che passa, e che sono nati e che moriranno 13. Se si ritenesse della loro schiera non direbbe: Corro al premio della eterna chiamata 14. Dobbiamo dunque regolare i nostri digiuni. Questo non è, come ho detto, un adempimento angelico e neanche lo è di quegli uomini che sono schiavi della gola 15. E` un atto proprio alla via di mezzo, la nostra, per cui viviamo distinti da chi non ha fede e con l'aspirazione di essere uniti agli angeli. Non siamo ancora giunti, ma siamo in cammino; non abbiamo ancora quella felicità, ma di qui vi sospiriamo. Qual è l'utilità di astenersi un poco dal cibo e dal piacere della carne? La carne preme contro il suolo, la mente tende all'alto; è trasportata dall'amore, è ritardata dal peso. A questo proposito dice la Scrittura: Il corpo soggetto a corruzione appesantisce l'anima e l'abitazione terrena dei sensi grava la mente dai molti pensieri 16. Se dunque la carne china sulla terra è un peso all'anima, un bagaglio che appesantisce il suo volo, quanto più uno ripone le sue gioie nella sua vita superiore, tanto più depone del suo bagaglio terreno. Ecco che cosa facciamo quando digiuniamo.
Necessità del digiuno.
3. 3. Il digiuno non vi sembri una cosa di poca importanza o superflua; chi lo pratica, secondo le consuetudini della Chiesa, non pensi fra sé, non dica fra sé, ascoltando il tentatore che suggerisce nell'intimo: " Che cosa digiuni a fare? 17. Defraudi la tua vita, non le dài ciò che le fa piacere; ti procuri da te stesso una pena, ti fai carnefice e tormentatore di te stesso. A Dio può piacere che tu ti tormenti? Sarebbe crudele se avesse piacere delle tue pene ". Ma tu rispondi così al tentatore: " Mi dò certo un supplizio, ma perché egli mi perdoni, da me stesso mi castigo perché egli mi aiuti, per piacere ai suoi occhi, per arrivare al diletto della sua dolcezza. Anche la vittima è tormentata, per essere posta sull'altare. Così la mia carne appesantisce meno il mio spirito ". A questo cattivo consigliere, schiavo del ventre, rispondi con questo esempio: " Se tu, per caso, cavalcassi un giumento, se montassi un cavallo che con la sua andatura sfrenata ti potesse far cadere, per fare un viaggio tranquillo non razioneresti il cibo a quel furente, non cercheresti di domare con la fame quello che non riesci a domare col morso? La mia carne è il mio giumento mentre faccio il viaggio verso Gerusalemme, spesso mi porta via, cerca di buttarmi fuori dalla strada. La mia via è Cristo 18. Non dovrò dunque frenare con il digiuno la bestia che va a sbalzi? ". Se qualcuno capisce ciò, può verificare con la sua stessa esperienza quanto sia utile il digiuno. Ma questa carne, che ora è domata, lo dovrà essere sempre? Finché oscilla nella situazione temporale, finché è appesantita dalla condizione di mortalità, ha questi sbalzi, ben visibili e pericolosi al nostro spirito. La carne qui infatti è ancora corruttibile, non è ancora risorta. Il fatto è che non sempre sarà così; adesso non ha ancora lo stato proprio della costituzione celeste, non siamo ancora resi uguali agli angeli di Dio 19.
Carne e spirito. Errori dei Manichei.
4. 4. Ma non pensi, la vostra Dilezione, che la carne sia nemica dello spirito, quasi che uno sia l'autore della carne e un altro quello dello spirito. Molti, soggetti alla carne, seguendo questa opinione deviarono ritenendo che uno fosse l'autore della carne e un altro quello dello spirito. Per di più si avvalgono, senza comprenderla appieno, di una testimonianza apostolica: La carne ha desideri contrari allo spirito e lo spirito ha desideri contrari alla carne 20. Ciò è vero, ma osserva anche quest'altro passo: Nessuno ha mai in odio la propria carne, ma la nutre e la riscalda, come Cristo la Chiesa 21. Nel primo passo citato sembra di vedere come una lotta fra due nemici, la carne e lo spirito, perché la carne ha desideri contrari allo spirito, e lo spirito ha desideri contrari alla carne. In questo secondo passo invece vi è quasi un'unione coniugale: Nessuno ha mai in odio la propria carne, ma la nutre e la riscalda, come Cristo la Chiesa. Come ci comporteremo di fronte a questi due pareri? Se sono contrari, quale accetteremo, quale rifiuteremo? Il fatto è che non sono contrari. Stia attenta, la Carità vostra, io intanto li accetto tutti e due e dimostrerò, per quanto mi è possibile, che concordano. Chiunque sia tu che stabilisci un creatore della carne e un altro dello spirito, che ne pensi del passo che dice: Nessuno ha mai in odio la propria carne, ma la nutre e la riscalda, come Cristo la Chiesa? Non t'impressiona il paragone? Nutre dice e riscalda come Cristo la Chiesa. Supponi di credere che la carne sia una catena. E chi ama la sua catena? Supponi che la carne sia un carcere. E chi ama il suo carcere? Nessuno ha mai in odio la sua carne. Chi non odierebbe di essere incatenato, chi non odierebbe il suo supplizio? E invece: Nessuno ha mai in odio la sua carne, ma la nutre e la riscalda, come Cristo la Chiesa. Se dunque tu poni un autore alla carne e un altro allo spirito, ne consegue che devi porne uno a Cristo e un altro alla Chiesa. Il che, per chi sa, è una sciocchezza. Dunque ognuno ama la sua carne. Lo dice l'Apostolo, e oltre alle parole dell'Apostolo, c'è l'esperienza personale. Puoi essere padrone della tua carne finché vuoi, puoi accenderti di severità contro di essa, ma se qualcuno sta per darti un colpo, tu chiudi gli occhi.
4. 5. E` come una specie di matrimonio tra lo spirito e la carne. Come si spiega che la carne ha desideri contrari allo spirito e lo spirito contrari alla carne 22? Come si spiega questo castigo che proviene da una propaggine della morte? Perché è detto: Tutti muoiono in Adamo 23? Perché l'Apostolo dice: Fummo anche noi un tempo meritevoli di ira, come gli altri 24? Egli ricevette sentenza di morte: da lui siamo nati; da lui deriviamo questa carne che dobbiamo vincere. E così abbiamo desideri contro la carne, per sottometterla a noi, domata, per portarla ad ubbidienza. Ma noi non odiamo chi vogliamo semplicemente che ci ubbidisca. Ciascuno dà per lo più una regola alla moglie, in casa; cerca di farla ubbidire se è renitente, ma non perseguita una nemica 25. Cerchi di domare anche il figlio, perché ti ubbidisca. Forse che lo odi, lo ritieni forse un nemico? Ami e castighi anche il tuo servo e nel punirlo lo rendi ubbidiente. Su questo argomento hai un pensiero chiaro e completo dell'Apostolo: Non corro - dice - come chi è senza meta; non faccio il pugilato come uno che batte l'aria, ma tratto duramente il mio corpo e lo trascino in servitù, perché non succeda che dopo aver predicato agli altri, venga io stesso squalificato 26. La carne ha, per la sua condizione terrena, certi suoi appetiti: su questi puoi esercitare un freno. Se ti lasci dirigere da chi sta sopra di te, puoi ben dirigere chi sta sotto di te. Sotto di te c'è la tua carne; sopra di te il tuo Dio. Sei ammonito in che modo ti competa servire il tuo Dio quando vuoi che la tua carne serva a te. Tu fai attenzione a quello che ti sta sotto. Osserva anche quello che ti sta sopra. Tu non hai potere sul dipendente se non in quanto ti viene dal superiore a te. Sei servo, hai un servo. Ma il Signore ha due servi. Il tuo servo è più nel potere del Signore che nel tuo. Dunque, tu vuoi essere ubbidito dalla carne. Ma essa non lo può in tutto. In tutto ubbidisce al suo Signore ma non a te. Tu mi domandi spiegazione. Tu cammini, muovi i piedi. Essa ti segue. Ma camminerà con te per tutto il tempo che tu vorresti? E` animata da te. Ma forse fino a quando tu vorresti? E anche: stai male quando vuoi, stai bene quando vuoi? Il tuo Signore ti tiene per lo più in esercizio per mezzo di questo tuo servitore, perché come hai disprezzato lui meriti di essere corretto per mezzo del servo.
Necessità del dominio sui sensi.
5. 6. Questo problema in che senso ti riguarda? Nel non abbandonarti al piacere della carne fino all'illecito e qualche volta nel mettere un freno anche a ciò che è lecito. Chi non mette mai un freno alle cose lecite, è contiguo alle illecite. Come, ad esempio, fratelli, è lecito il matrimonio, illecito l'adulterio; e tuttavia gli uomini temperanti, per tenersi lontani dall'adulterio illecito, pongono un freno anche nel matrimonio lecito. E` lecito bere a sazietà, è illecita l'ubriachezza; tuttavia gli uomini morigerati, per tenersi lontani dalla vergogna dell'ubriachezza, reprimono anche, in parte, la loro libertà di farsi sazi. Comportiamoci così, fratelli; siamo temperanti e agiamo coscientemente, tenendo presente il fine del nostro agire. Ponendo una misura al piacere della carne, si acquista il piacere dello spirito.
Scopo del digiuno.
5. 7. Perciò bisogna considerare quale sia il fine dei nostri digiuni in rapporto al nostro cammino, quale sia il nostro cammino, quale la meta. Infatti anche i pagani qualche volta digiunano, ma non sanno quale è la meta a cui tendiamo noi. Anche i Giudei qualche volta digiunano ma non hanno preso la via che percorriamo noi. E` come quando uno doma il suo cavallo ma prende una strada sbagliata. Digiunano anche gli eretici. Vedo il loro comportamento. Domando quale è la loro meta. " Voi digiunate - dico - ma per piacere a chi? ". " A Dio ", rispondono. " Ma siete sicuri che il dono è accettato? ". Bisogna anzitutto considerare questo monito: Lascia il tuo dono e va' prima a riconciliarti col tuo fratello 27. Non è corretto domare le proprie membra e dilaniare le membra di Cristo 28. E` stato scritto: Si sente il clamore di litigi tra di voi e anche provocate e colpite con pugni quelli che stanno sotto la vostra giurisdizione. Non è questo il digiuno che voglio, dice il Signore 29. Sarebbe dunque da disapprovare il tuo digiuno se tu fossi nel contempo eccessivamente severo col tuo servo. Come si può approvare il tuo digiuno se non riconosci il tuo fratello? Non cerco da che cibo ti astieni, ma che cibo ami. Dimmi che cibo ami perché io possa acconsentire al fatto che tu te ne astenga. Ami il cibo della giustizia? Forse mi risponderai: " Lo amo ". Sia dunque manifesta la tua giustizia. Io ritengo cosa giusta infatti che tu adempia al tuo servizio verso il tuo superiore, affinché il tuo dipendente lo adempia verso di te. Parlavamo della carne, che è inferiore allo spirito, gli è soggetta; è fatta per essere da lui domata e regolata. Tu ti comporti con essa in modo che ti ubbidisca e le razioni il cibo perché la vuoi a te soggetta. Riconosci chi è maggiore, riconosci chi è superiore, se vuoi che l'inferiore giustamente si sottometta a te.
6. 7. E` un controsenso se la tua carne ubbidisce a te e tu non ubbidisci al tuo Dio. Da essa stessa sei condannato per il fatto che ti ubbidisce. Ubbidendoti fa testimonianza contro di te.
L'unità vale più del digiuno.
6. 8. " Ma a quale superiore - mi domandi - si deve ubbidire? ". Ecco che parla Cristo (tu ti eri detto amante della giustizia): Vi dò un comandamento nuovo, che vi amiate gli uni gli altri 30. Ascolta dunque il tuo Signore che comanda di amarci a vicenda. Egli fa un corpo solo di noi tutti, come membra del suo corpo, e il corpo ha un solo capo che è lui, il nostro Signore e Salvatore. Ma tu ti vuoi staccare dalle membra di Cristo. Tu non ami l'unità. Se ti fossi distorto un dito non correresti dal medico perché te lo aggiustasse? Il tuo corpo sta bene quando le sue membra si armonizzano tra loro; allora ti chiami sano, allora stai bene. Ma se qualcosa nel tuo corpo è in dissonanza con le altre parti, tu vai a cercare chi ti corregga. Perché dunque non cerchi che si corregga, che ritorni nella compagine delle membra di Cristo, che si armonizzi in questo stesso corpo e nel tuo 31 ciò che è in dissonanza? Certamente rispetto a tutte le altre membra i capelli sono una cosa di minore importanza 32. Che cosa c'è di più infimo, nel tuo corpo, dei tuoi capelli, di più insignificante, di minor conto? Eppure se vieni mal rasato ti inquieti col barbiere perché il taglio non è uniforme 33. E invece per le membra di Cristo non ti preoccupi di mantenere l'unità. E allora a che cosa valgono, a che cosa giovano i tuoi digiuni? Arrivi a ritenere che Dio non sia degno di essere servito nell'unità da tutti coloro che credono in lui; e tuttavia nel tuo corpo, nelle tue membra, nei tuoi capelli vuoi che questa unità sia osservata. Parlano le tue viscere, le tue membra che portano, contro di te, una vera testimonianza e tu invece ne porti una falsa contro le membra di Cristo.
Lo spirito scismatico.
6. 9. Ti sei dissociato dal digiuno dei pagani? O lo credi e perciò ti ritieni sicuro. " Io - dici - digiuno per Cristo. Essi per gli idoli e i demoni ". Accetto il tuo ragionamento e, in realtà, la distinzione c'è. Ma ecco, come dicevo poc'anzi, in qual modo le tue membra portavano una testimonianza contro di te, così che ti ammonivo come devi comportarti con le membra di Cristo tuo Dio; e gli stessi pagani, dai quali distingui il tuo digiuno, ti insegnino qualcosa sull'unità del tuo Cristo.
I pagani sono concordi nel culto agli stessi dèi fra loro discordi.
7. 9. Ecco, essi, non divisi tra loro, venerano molti dèi falsi. E noi forse abbiamo trovato l'unico, vero Dio ma in modo tale da non essere nell'unità pur essendo sotto un solo Dio? Essi ne hanno molti e falsi, noi uno solo e vero. Essi sotto molti e falsi non hanno divisione; noi sotto uno e vero non arriviamo a tenere l'unità. Non ti dispiace, non te ne rammarichi, non ti vergogni? C'è di più. I pagani non solo venerano molti dèi falsi, ma anche parecchi fra di loro contrari e nemici. A mo' di esempio ricordiamone alcuni, se non possiamo tutti. Ercole e Giunone erano nemici: erano stati uomini infatti, figliastro lui, matrigna lei. All'uno e all'altro i pagani eressero templi, a Giunone e ad Ercole. Adorano lui, adorano lei. Vanno ugualmente da Giunone, ugualmente da Ercole. Sono concordi nel culto a loro che sono in discordia. Vulcano e Marte sono nemici e ne ha buona ragione Vulcano; ma dammi un giudice che ascolti! Il misero odia l'adulterio della moglie e tuttavia non osa distogliere dal tempio di Marte i suoi devoti. E così adorano l'uno e l'altro. Se dovessero imitare i loro dèi litigherebbero anche i devoti. Vanno invece dal tempio di Marte a quello di Vulcano. Sembrerebbe una sconvenienza. E invece non temono che il marito si adiri perché si viene a lui dal tempio dell'adultero Marte. (Hanno buon senso, sanno che la pietra non può sentire). Ecco, venerandone molti, falsi, diversi, avversi tra loro, tengono tuttavia nel venerarli una certa unità. In questo modo gli stessi pagani, dai quali hai distinto il tuo digiuno, portano una testimonianza contro di te. Vieni all'unità, fratello [donatista]! Noi veneriamo un solo Dio e non abbiamo mai visto il Padre e il Figlio in litigio tra loro 34. I pagani non vadano in collera con me perché ho detto queste cose dei loro dèi. Perché dovrebbero adirarsi delle mie parole e non piuttosto dei loro scritti? Questi distruggano prima, se possono, anzi se vogliono. Se non vogliono esserne ammaestrati i grammatici smettano d'insegnare. Si adirerebbe dunque con me [il pagano] in quanto dico le stesse cose per cui paga la scuola affinché il figlio le impari?
Adoperarsi per l'unità coi Donatisti.
8. 10. Dunque, o carissimi, essi hanno precisamente tali dèi, o meglio li ebbero. Poiché infatti essi non vollero abbandonarli, furono abbandonati da loro. Ci sono molti anche che li abbandonarono e ancora oggi li abbandonano: abbattono i loro templi all'interno del cuore; godiamo di loro in quanto vengono all'unità, non alla divisione. Il pagano non trovi un'occasione che lo induca a non diventare cristiano. Siamo concordi, fratelli, noi che veneriamo un solo Dio, per poterli in un certo qual modo, con la nostra concordia, esortare ad abbandonare i molti dèi perché vengano alla pace e all'unità a venerare un solo Dio. E se per caso, per il fatto che noi cristiani non abbiamo tra di noi l'unità, s'infastidiscono e per questo ci criticano e perciò sono lenti e pigri nel venire alla salvezza, li arringherò un poco. Vi dirò io che cosa dovete dir loro. Non preferiscano a noi la loro quasi concordia, non si compiacciano della loro unità. Essi non devono sopportare il nemico che dobbiamo affrontare noi. Questo nemico stesso in sostanza li possiede anche se non sono discordi 35. Egli li vede adoratori dei falsi dèi, li vede servi e servi di demoni. A questo punto che vantaggio c'è per lui se litigano o, per lui, che danno c'è se non litigano? Li possiede comunque così come sono, partecipi della stessa credenza vana e falsa, anche se d'accordo tra di loro. Quando si vedrà abbandonato e vedrà molti correre all'unico Dio, lasciare i suoi sacrileghi riti, abbattere i templi, spezzare gli idoli, proibire i sacrifici, allora vedrà di aver perso quelli che teneva in potere, li vedrà allontanarsi dalla sua famiglia, conoscere il vero Dio. Allora che farà? A quali insidie ricorrerà? Sa che non ci può possedere se siamo concordi, che non ci può dividere l'unico Dio, che non può più presentare a noi i falsi dèi. Sa che la nostra vita è la carità, la nostra morte la discordia; perciò ha introdotto liti tra i cristiani, non potendo fabbricare molti dèi per i cristiani; moltiplicò le sètte, seminò errori, stabilì gli eretici. Ma tutto quel che ha fatto lo ha fatto con quella paglia di cui parlò il Signore. Ecco la nostra sicurezza: anche se egli infierisce, anche se insidia e semina vari dissensi fra i cristiani, e noi invece riconosciamo il nostro Dio, se siamo fedeli a lui concordemente, se manteniamo la fede, siamo al sicuro. Fratelli, il frumento dell'aia non va via o se va via ritorna; il vento della tentazione invece porta via qualcosa della paglia 36. Onde per noi non si crea via di perdizione ma impegno di esercitazione. E quanta paglia non è portata via ora sarà vagliata nell'ultimo giudizio e non va, tutta la paglia, se non nel fuoco. Dobbiamo darci da fare, fratelli, finché siamo in tempo, con quante forze possiamo, con quanta attenzione possiamo, perché, se può avvenire, ritorni magari insieme alla paglia, il frumento, purché esso non perisca. Qui è messo alla prova il nostro amore, qui ci viene proposta la grande opera della nostra vita. Non sarebbe individuata la misura del nostro amore ai fratelli, se nessuno fosse messo alla prova; nel giudizio finale non apparirebbe quanto è l'amore se fosse cosa trascurabile l'abisso della perdizione.
La coercizione.
9. 11. Diamoci da fare, fratelli, senza sosta, con ogni attività, con ogni fatica, con pio affetto verso Dio, verso di loro e, fra di noi, perché non succeda che, volendo sopire la loro vecchia discordia, provochino nuove risse fra di noi; sopra ogni cosa siamo attenti a mantenere fra noi fermissimo l'amore. Essi si sono congelati nelle loro iniquità. Come puoi sciogliere il ghiaccio dell'iniquità, se non ardi della fiamma della carità? Non facciamo caso se risultiamo molesti coll'incalzarli. Vediamo quale è il fine: in esso teniamoci sicuri. Forse che li portiamo alla morte e non invece via dalla morte? Assolutamente curiamo queste vecchie ferite, in qualsiasi modo possiamo, ma umilmente; e andiamo cauti perché non venga meno tra le mani del medico colui che viene curato. Che cosa ci sentiamo in dovere di fare se piange il bambino che viene condotto a scuola? E che cosa dobbiamo pensare se uno rifiuta la mano del medico che opera il taglio? Gli Apostoli furono pescatori e il Signore disse loro: Vi farò pescatori di uomini 37. Ma dal profeta è stato detto che Dio prima avrebbe mandato i pescatori, poi i cacciatori 38. Prima mandò i pescatori, poi manda i cacciatori. Perché i pescatori, perché i cacciatori? Dal profondo abissale mare della superstizione idolatrica sono stati pescati i credenti con le reti della fede. E i cacciatori perché furono mandati? Furono mandati perché essi vagavano per monti e colli 39, cioè per le superbie umane, per gli orgogli terreni. Uno di questi monti è Donato, un altro Ario, un altro Fotino e un altro Novato; erravano i credenti per questi monti; il loro vagare aveva bisogno dei cacciatori. Perciò sono stati distribuiti i diversi uffici dei pescatori e dei cacciatori, perché non capiti che costoro ci dicano: " Perché gli Apostoli non costrinsero nessuno, non spinsero nessuno? ". Il pescatore, in quanto tale, butta le reti in mare e tira su quello che vi è incappato dentro. Il cacciatore invece circonda le selve, scuote i cespugli di rovi e, moltiplicate da ogni parte le minacce costringe a cadere nelle reti. Non vada né di qua né di là; da qui vienigli incontro, di là urtalo, dall'altra parte spaventalo; non possa evadere, non sfugga. Ma le nostre reti sono vita perché si conservi l'amore. Non preoccuparti di quanto gli puoi essere molesto, ma di quanto tu lo ami. Qual è la tua pietà se tu lo risparmi ed egli muore?
Il sonno letargico e il figlio del vecchio morente.
10. 12. Fratelli, considerate anche questo paragone, questa similitudine; una sola cosa può in effetti aver molte similitudini. Gli uomini sono strutturati in modo che ognuno vuole una successione nei figli; e non c'è nessuno che non desideri e speri nella sua casa questo ordine: che chi ha generato ceda il posto ai generati ed essi succedano. Tuttavia se un vecchio padre è malato (non faccio il caso del figlio malato assistito dal padre, che invece cerca l'erede, desidera il successore, che lo ha generato perché viva lui morto; non dico questo) dico dunque se il padre è malato, sta per andarsene, vecchio, vicino alla morte, al punto in cui chiede di assecondare l'ordine della natura, quando ormai non ha più niente da sperare, tuttavia se è malato e gli sta vicino con affetto il figlio, e il medico vede che è preso da un sonno nocivo, letale, egli è paziente col vecchio che sta per morire, anche per quei pochi giorni che gli restano da vivere; e sta lì il figlio, premuroso vicino al padre, e sente il medico dire: " Quest'uomo può cadere in letargo e poi morire se lo si lascia prendere dal sonno; se volete che viva non deve dormire ". E quel sonno nocivo invece lo prende: nocivo e dolce. Ma il figlio ammonito dal medico sta lì attento e, con fastidio del padre, lo sveglia mettendogli le mani addosso; se il sonno è più forte, lo pizzica e, se questo non serve, lo punge. Certamente riesce fastidioso al padre, ma sarebbe empio se non gli desse questo fastidio. In quanto a lui che vorrebbe morire, respinge il figlio molesto col volto corrucciato e con la voce alterata: " Lasciami stare, perché mi tormenti? ". " E` che il medico ha detto che se ti addormenti, muori ". Ed egli: " Lasciami stare, voglio morire ". Il vecchio dice: " Voglio morire " e il figlio sarebbe empio se non dicesse: " Io non lo voglio ". E si tratta comunque di una vita temporale; né colui a cui riesce molesto il figlio che lo vuol svegliare resta perpetuamente in quella vita, né il figlio che succede al padre che se ne va e muore. Tutti e due passano attraverso di essa, tutt'e due vi trasvolano, di passaggio; e tuttavia sarebbero empi se non provvedessero a mantenere questa vita temporale a rischio di rendersi molesti a vicenda. Dunque io, se vedessi il mio fratello preso da un sonno di cattiva lega, non lo sveglierei per timore di essere molesto a chi sta dormendo e morendo? Lungi da me il fare questo, anche se, lui vivo, è più ristretto il mio patrimonio. Nel nostro caso poiché ciò che riceveremo non si può dividere e anche se si moltiplicano i possessori non diminuisce il patrimonio, non lo terrò desto, sveglio, anche se lo infastidisco, sicché privo del sonno di un antichissimo errore, possa godere con me l'eredità dell'unità? Certo che lo farò. Se sono sveglio lo farò. Se non lo faccio, dormo anch'io.
Non si deve dividere l'eredità del Signore.
11. 13. Carissimi, il Signore, mentre parlava alle turbe, fu interpellato da un tale che gli disse: Signore, di' a mio fratello che divida con me l'eredità. E il Signore: O uomo, chi mi ha costituito, dimmi, mediatore di eredità tra voi40 Certamente egli non rifiutava di frenare l'avidità ma non voleva diventare giudice in una divisione. In quanto a noi, carissimi, non cerchiamolo come giudice in tali vertenze, perché tale non è la nostra eredità. Noi con pura fronte e con buona coscienza interpelliamo il Signore nostro e ognuno gli dica: " Signore, di' a mio fratello non che divida ma che possegga insieme con me l'eredità ". Che cosa vuoi dividere, fratello? Quello che il Signore ci ha lasciato non può essere diviso. E` forse oro, infatti, che richieda una bilancia per la divisione? E` forse argento, è denaro, è bestiame, o sono schiavi, o alberi o campi? Tutte queste cose si possono dividere. Non si può invece dividere: Vi dò la mia pace, vi lascio la mia pace 41. Infine nelle eredità terrene c'è anche il fatto che la divisione produce una diminuzione. Supponi due fratelli sotto uno stesso padre. Tutto ciò che possiede il padre è di ambedue: tutto dell'uno e dell'altro. Per cui se si fa una domanda sulla proprietà e se ad uno di loro ad esempio si chiede: " Di chi è quel cavallo? ", egli risponderà: " E` nostro ". " Di chi quel fondo? Quello schiavo? ", sempre risponderà: " E` nostro ". Ma, se si farà la divisione, diversa è la risposta. " Di chi è quel cavallo? ". " E` mio ". " E questo di chi è? ". " Di mio fratello ". Ecco che cosa ha fatto la divisione. Non hai guadagnato una parte, ma perso una parte. Dunque anche se avessimo un'eredità che si può dividere non dovremmo dividerla per non diminuire le nostre ricchezze. E certo non vi è cosa più nociva per i figli che voler fare la divisione vivo il padre. Se questo si accingono a fare, se promuovono liti e contese per rivendicare ognuno a sé la propria parte, direbbe il vecchio: " Che cosa fate? Sono ancora vivo, aspettate, un poco, la mia morte, poi fate a pezzi la mia casa ". Noi abbiamo come padre Dio. Perché andare in divisioni? Perché andare in liti? Almeno aspettiamo. Se può morire, divideremo.


http://www.augustinus.it/italiano/utilita_digiuno/index2.htm

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